Canapa legale, Stato ostile: quando la politica cerca di comandare sopra i giudici

Canapa legale, Stato ostile: quando la politica cerca di comandare sopra i giudici

Negli ultimi giorni i tribunali italiani hanno disposto il dissequestro di coltivazioni e infiorescenze di canapa light, ribaltando indagini e sequestri avviati in forza del cosiddetto Decreto Sicurezza. I giudici hanno stabilito che, per i prodotti con livelli di THC non efficaci psicoattivamente, non sussiste reato — e hanno restituito piante, macchinari e biomassa a imprenditori già colpiti dai sequestri. Ma il governo continua a perseguire una linea proibizionista e, con la recente riforma della giustizia 2025, sembra voler ridefinire pesi e contrappesi che dovrebbero garantire l’indipendenza giudiziaria: il risultato è una doppia ingiustizia per produttori e filiere legali.

Cosa è successo — fatti principali

  • Il Tribunale del Riesame di Brindisi ha disposto il dissequestro di oltre 800 piante di canapa sativa light e la restituzione di macchinari e materiali sequestrati, dopo che le analisi tossicologiche hanno mostrato valori di THC tra 0,08% e 0,33%, livelli incapaci di produrre effetti psicoattivi.

  • Analoghi provvedimenti di dissequestro si sono verificati in altre città (es. Sassari), dove i giudici hanno giudicato legittime coltivazioni e detenzioni di canapa nel rispetto della normativa vigente.

  • Il Decreto Sicurezza (art. 18 e relativi emendamenti successivi) ha introdotto divieti che hanno portato a numerosi sequestri e allarme nel settore, che conta migliaia di aziende e centinaia di milioni di euro di fatturato. I tribunali, però, stanno costantemente riconoscendo la legittimità di molte coltivazioni certificate.

Perché è un problema (analisi)

Questa dinamica produce almeno tre conseguenze concrete e ingiuste:

  1. Danno economico immediato — sequestri e blocchi interrompono produzione e vendite, danneggiano catene di fornitura e investimenti: agricoltori e piccole imprese subiscono costi spesso irreversibili. L'INDIPENDENTE

  2. Clima di incertezza e sospetto — quando la polizia o le procure applicano norme molto restrittive anche su produzioni che rispettano limiti di THC, si genera un clima di sospetto verso settori che operano nella legalità, scoraggiando innovazione e investimenti.

  3. Sovrapposizione tra politica e giurisdizione — lo scontro tra norme politiche (divieti/Decreto) e interpretazioni giudiziarie mette in luce un conflitto di potere: se lo Stato vara norme che poi i giudici smontano caso per caso, chi tutela davvero lo Stato di diritto? 

La riforma della giustizia 2025 entra in gioco

La recente riforma della giustizia — che prevede tra l’altro aspetti come la separazione delle carriere, modifiche al ruolo del CSM e ipotesi di cambiamenti sull’Alta Corte — ha riacceso il dibattito sul bilanciamento dei poteri tra esecutivo e magistratura. Se l’obiettivo della riforma è limitare l’autonomia dei magistrati o ristrutturare i meccanismi di controllo, il rischio è che decisioni prese da organi politici o amministrativi possano avere effetto retroattivo sui procedimenti e indebolire la capacità dei giudici di correggere abusi normativi. In pratica: norme più stringenti e controllo politico rafforzato significano che il cittadino o l’imprenditore hanno meno strumenti efficaci contro provvedimenti amministrativi o investigativi errati.

Un esempio emblematico: produttori sotto attacco

I casi recenti dimostrano la situazione paradossale: lo Stato (attraverso decreto e forze dell’ordine) sequestra, ma i giudici restituiscono. Dal punto di vista del produttore, la giustizia “funziona” — ma solo dopo sanzioni, perdite e accuse. È come se la legge non fosse una protezione automatica, ma qualcosa da ottenere in ritardo, solo dopo contenziosi e spese legali. Questo rovesciamento di ruoli è percepito da molti come un’ingiustizia e come una forma di arbitrio politico.

Cosa rischia il Paese

  • Perdita di competitività di un settore con filiere certificate e mercati esteri.

  • Aumento della litigiosità e del carico per i tribunali, con costi sociali e giudiziari.

  • Erosione di fiducia nelle istituzioni: se il legislatore appare intenzionato a “scavalcare” la giustizia, cresce la percezione che le regole valgano a seconda del potere politico del momento.

I recenti dissequestri e le pronunce dei tribunali dimostrano che la canapa light, quando rispetta i limiti di legge, non è reato. Se il governo insiste su misure proibizioniste e allo stesso tempo promuove una riforma che potrebbe ridurre l’autonomia dei giudici, il risultato non è solo un conflitto istituzionale: è un’ingiustizia concreta per migliaia di imprenditori, lavoratori e cittadini. La democrazia sana non ha bisogno di chi “vuole comandare più dei giudici”, ma di regole chiare, controlli efficaci e rispetto del contrappeso tra poteri. Opporsi agli abusi non è proteggere la canapa: è tutelare lo Stato di diritto.

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