vittima della legge italiana sulla cannabis terapeutica

Dl Sicurezza sulla cannabis light terapeutica: il caso Elena Tuniz

Il caso Elena Tuniz dimostra quanto sia assurda la normativa italiana sulla cannabis terapeutica e cannabis light. Elena Tuniz, 32 anni, insegnante di Udine, è rimasta coinvolta in un incidente d’auto dopo aver avuto una crisi epilettica mentre era al volante. Immediatamente soccorsa e portata in ospedale, è risultata “positiva” al THC – il principio attivo della cannabis – in un test tossicologico di routine. Quell’esito ha scatenato una beffa: nonostante i medici le avessero poi diagnosticato l’epilessia e le avessero prescritto proprio una terapia a base di cannabis terapeutica, la sua posizione alla guida è stata trattata come un’infrazione del Codice della Strada. Il risultato? Patente sospesa per un anno, procedimento penale in corso con rischio due anni di carcere e 12.000 euro di multa.

Il paradosso normativo sulla cannabis terapeutica

In Italia la cannabis medica è legale dal 2015, regolamentata da un decreto del Ministero della Salute che autorizza l’uso terapeutico in casi gravi come sclerosi multipla, dolore cronico, nausea da chemioterapia. Ma la teoria è ben lontana dalla prassi. Il nuovo art. 187 del Codice della Strada (Legge 177/2024) punisce chi fa uso di cannabis terapeutica e cannabis light, eliminando ogni riferimento alla reale alterazione psicofisica. È sufficiente un test positivo: nessuna valutazione clinica, nessuna soglia minima, nessun buonsenso.

La cannabis terapeutica resta nel sangue anche 80 ore dopo l’assunzione, ben oltre il periodo di effetto. Pazienti lucidi, sotto controllo medico, vengono trattati alla stregua di narcodipendenti. È una criminalizzazione di fatto della cura.

Cannabis light e Decreto Sicurezza: la persecuzione continua

Il paradosso legislativo non si ferma alla cannabis terapeutica. Con l’introduzione del nuovo articolo 18 del DL Sicurezza approvato ad aprile 2025, la repressione si è estesa anche alla cannabis light. In barba alla Legge 242/2016 che promuoveva la coltivazione di canapa industriale, il nuovo testo vieta la vendita di infiorescenze di canapa anche a basso THC, se non destinate a florovivaismo professionale. Un colpo mortale a un settore che contava 3.000 aziende e 30.000 addetti. L’Italia, pur essendo uno dei maggiori produttori europei, ha scelto di sabotare la propria filiera agricola in nome di un proibizionismo cieco. Le forze dell’ordine continuano a sequestrare prodotti legali, ignorando la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Persino la Cassazione, in casi recenti, ha giustificato sequestri cautelari di cannabis light a prescindere dal contenuto di THC, trasformando ogni grow shop in un potenziale obiettivo.

Lo Stato contro pazienti e agricoltori

Il caso di Elena e il DDL Sicurezza mostrano una linea politica chiara: reprimere tutto ciò che ha a che fare con la cannabis, a prescindere da scienza, dati o giustizia. È un approccio ideologico e ignorante, che criminalizza chi si cura e chi coltiva. Il paziente viene sospeso dalla guida come se fosse ubriaco, l’imprenditore agricolo trattato come uno spacciatore. Dove sta la logica in tutto questo? Perché uno Stato che autorizza la cannabis terapeutica poi punisce chi la assume? Perché promuovere la canapa industriale e poi vietare la vendita delle sue infiorescenze?

Le richieste di riforma

Di fronte a questo scenario distopico, le associazioni di pazienti, agricoltori e giuristi chiedono:

  • Una circolare esplicativa che esenti i pazienti da test tossicologici indiscriminati
  • Un tavolo tecnico con esperti per definire linee guida condivise
  • Una modifica al Codice della Strada che reintegri la necessità di accertare lo stato psicofisico
  • Il ritiro o la revisione dell’articolo 18 del DL Sicurezza per tutelare la cannabis light

Il caso di Elena potrebbe diventare emblematico: la sua difesa sta preparando un ricorso per sollevare questione di legittimità costituzionale. Perché punire indistintamente chi assume farmaci prescritti contraddice il diritto alla salute garantito dalla Costituzione.

Conclusione: ignoranza legislativa e danni reali

L’Italia vive una schizofrenia normativa sulla cannabis. Da un lato ne riconosce i benefici terapeutici e industriali, dall’altro la reprime con strumenti penali e amministrativi. È il sintomo di una classe politica miope, più interessata a slogan securitari che al benessere dei cittadini. Il caso di Elena Tuniz è solo la punta dell’iceberg. Finché le leggi saranno dettate dalla paura e non dalla scienza, ogni paziente curato con cannabis sarà a rischio, ogni agricoltore sarà sotto assedio. È tempo che il legislatore si assuma la responsabilità di uscire dall’ignoranza e di legiferare sulla base di evidenze, non di pregiudizi.

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